Aristide Torrelli, fotografo fine art
Il mondo attraverso i miei obiettivi: luce, tecnica e visione
Aristide Torrelli, fotografo fine art
Il mondo attraverso i miei obiettivi: luce, tecnica e visione
Al tempo della pellicola, c’era una cosa chiamata “difetto di reciprocità” che influenzava le lunghe esposizioni e rendeva necessario allungarle ulteriormente (modificava anche la resa cromatica delle pellicole a colori, ma questo è un altro discorso).
Se facessimo un’analogia con un rubinetto che riempie un secchio, il difetto di reciprocità potrebbe essere l’evaporazione dell’acqua. Su un tempo di esposizione sufficientemente lungo, non solo l’acqua che esce dal rubinetto finisce nel secchio, una parte di quella già nel secchio si perde per evaporazione (è meglio che parlare di un piccolo foro da cui esce l’acqua, no?). Chiaro, l’ammontare di acqua perduta è trascurabile per velocità di otturazione (tempi di apertura del rubinetto) normali (fino a uno o due secondi, diciamo) ma, per tempi progressivamente più lunghi, questo ammontare non si può trascurare. Per compensare la perdita era necessario aggiungere dell’altro tempo all’esposizione. Pellicole differenti soffrivano di questo difetto in modo differente e nessuna pellicola ne era completamente immune.
I sensori non soffrono del difetto di reciprocità e quindi possiamo tranquillamente ignorarlo nel caso di lunghe esposizioni.
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Però le lunghe esposizione non sono indolori. Le lunghe esposizioni con una fotocamera digitale possono essere affette da rumore. A meno che il sensore non si trovi a temperature intorno allo zero assoluto (0 K, -273,15 °C), qualunque energia termica possieda può dar luogo a fenomeni di rumore elettronico che ci ritroviamo poi sul file immagine. Le prime fotocamere digitali, intorno al 2000 (ricordo bene la mia PowerShot A20!), soffrivano terribilmente del fenomeno del rumore, provocato sia dalle lunghe esposizioni che dall'utilizzo di ISO elevati per poter accorciare i tempi di esposizione (non sempre si poteva scattare con tempi lunghi).
Il problema era che, ad alti ISO, nel poco tempo di esposizione entrava (relativamente) poca luce che poteva essere coperta dal rumore. Per questo i fotografi digitali esitavano a scattare ad alti ISO, preferendo piuttosto utilizzare il valore ISO più basso, quello nativo della fotocamera e che dava il minimo rumore possibile per quel sensore.
Questa esitazione era comprensibile e, oserei dire, quasi scontata perché l'obiettivo era e rimane quello di catturare la miglior immagine possibile. A nessuno piaceva il rumore e quella generazione di fotografi che si stavano convertendo dalla pellicola al digitale, compreso me, erano usi alle pellicole a grana fine e basse sensibilità. Si poteva continuare a ignorare la sensibilità ISO, alzandola solo come ultima spiaggia per avere l'immagine anche a costo del rumore. Questo comportamento avrebbe influenzato moltissimo la mia tecnica di scatto, in pratica inchiodandomi a 100 ISO! Insomma, avevamo sostituito il difetto di reciprocità con il rumore, cose da evitare a tutti i costi! Perciò le discussioni sul difetto di reciprocità/rumore e l'analogia secchio-rubinetto continuarono ad essere il modo migliore per insegnare la teoria dell'esposizione. L’ho fatto anch’io nel mio libro Fotografare con Aristide Torrelli per spiegare il rapporto tra diaframma e otturatore. Però non mi sono limitato a queste due variabili (tempo e diaframma) solamente. Oggi tutte e tre le variabili hanno ugual dignità. Le odierne fotocamere digitali si comportano molto bene ad alti ISO, sensibilità che sono molto più elevate dei tempi della pellicola o dei primi sensori. Questo miglioramento mi permette di scattare foto di qualità anche con sensibilità ISO 400 e ISO 800. La mia prima visita all’Antelope Canyon, luogo molto buio, mi aveva visto scattare a 100 e 200 ISO, con tempi di 30 secondi e più, anche di due minuti. Immaginate le persone dietro di me che dovevano attendere per passare. Devo avere rimediato parecchi insulti in tutte le lingue del mondo!
Ora nell’Antelope Canyon scatto con tranquillità a 400 e 800 ISO, annullando i tempi di attesa degli altri. La qualità? Ottima almeno quanto quella della prima volta a 100 ISO, se non di più. D’altronde i sensori e l’elettronica correlata migliorano anno dopo anno e questo aiuta la gamma dinamica (
(leggi questo mio articolo
Se non scatto a 6400 ISO ...
).
E poi la semplicità nell'impostare gli ISO conta.
Oggi ha più senso pensare a queste tre variabili (ISO, tempo e diaframma) come tre fattori ognuno dei quali controlla qualcosa di diverso dagli altri due. Potete scegliere un diaframma che dipende dalla profondità di campo che volete ottenere, selezionare una velocità di otturazione necessaria per congelare (o sfocare) il movimento nel modo desiderato e bilanciare queste due cose selezionando gli ISO di cui c’è bisogno. Io ho chiamato questi tre fattori, e la relazione che c'è tra loro, la sacra triade dell'esposizione e dobbiamo sempre tenerla a mente nell'esposizione nell'era digitale.
In conclusione mi sento di affermare che, con la qualità dei sensori di oggi, che ci da la possibilità di utilizzare gli ISO come una variabile che non impatta negativamente sulla qualità, il rumore è sconfitto e la flessibilità nell’esposizione creativa è massima.
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