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Dovete stampare bene


 

Una foto è buona quanto la stampa che ne tiri fuori.

 

Molti credono che quando si scatta una foto il lavoro è finito. Non si rendono conto che una foto che vedono esposta su una parete di una galleria è il risultato di giorni e giorni di lavoro. Aggiustare il contrasto, la saturazione, i punti di bianco e di nero… Credono che la foto sia una semplice stampa di ciò che la fotocamera fornisce.

Chi crede questo non sa o fa finta di non sapere che ogni sensore (o pellicola) ha una sua resa cromatica, una gamma dinamica, un rumore. A loro non interessa. Ritengono che i sensori (pellicole) siano tutti uguali, una variabile neutra. Per loro non ci sono differenze tra alta e bassa sensibilità ISO, diapositive o negativi, alta o bassa saturazione, sensori piccoli o grandi. No, per loro è tutto uguale.

D’altronde questa è una conseguenza del fatto che, gli anni scorsi, le persone usavano pellicole negative a bassa saturazione e le facevano stampare dai vari service esistenti. Insomma una spersonalizzazione totale che portava a vedere le differenze tra stampe dovute solo a differenze tra equipaggiamenti (la tua reflex è migliore della mia) e non al trattamento massivo delle stampe.

E oggi? Le stesse persone usano una compatta che scatta in JPG e quindi saturazione e contrasto sono applicate dalla macchina in automatico. Poi portano la schedina al service e stampano. Tutto come prima, quindi? Si, a parte che ora ci si pone il problema della manipolazione dell’immagine.

Checché ne pensino, non è la macchina che fa la differenze ma la fase di stampa!

 

Sono stati scritti tanti libri sulla stampa (pensate a quello di Ansel Adams, ad esempio) e ci sono tanti workshop che insegnano a fare stampe fine art trattando i negativi con Photoshop o altri software. Noi esperti fotografi sappiamo che non esiste (e non è mai esistita) una stampa ottima che provenisse direttamente dal negativo (file). Per avere il massimo ci vuole (o bisogna essere) un Maestro Stampatore. Il titolo dice tutto. Non basta essere un tecnico con delle conoscenze di base, no, ci vuole di più. Tutti i fotografi sanno dell’importanza della stampa ma gli altri no. Pensano che, una volta premuto il pulsante di scatto, la foto sia sigillata. Pensano che il trattamento successivo (sviluppo, scansione, stampa) siano passaggi da fare ma che non hanno impatto sulla qualità del prodotto finale. Per loro è la fotocamera e basta.

Nelle mie immagini, invece, trovate ciò che provavo quando ho creato l‘immagine. E’ quello che la mia anima ha visto e che io voglio raccontare.

 

La tecnica si deve vedere

 

La tecnica di manipolazione dell’immagine e del suo miglioramento si deve vedere. Perché?

Perché voglio che tutti vedano le tecniche che impiego, come rendo reali le mie visioni. Cosa faccio? Voglio dettagli nelle alte luci e nelle ombre, non voglio rumore (grana), voglio i colori che la mia anima ha visto, non quelli registrati dalla pellicola (sensore). Un caso eclatante è la ripresa di un tramonto. In analogico è caldo perché si usa una pellicola tarata per la luce diurna. In digitale, il bilanciamento automatico del bianco smorza le tonalità calde. Solo un intervento in postproduzione riequilibra la situazione.

In effetti la mia è una tecnica a due passaggi:

 

  1. il primo rimuove i difetti introdotti nella fase di ripresa (vignettatura, aberrazione cromatica…);

  2. il secondo introduce i miei sentimenti nell’immagine.

 

Quello importante, e che voglio si veda, è il secondo. Quando lavoro sul piano emozionale, aggiusto i colori, i toni, il contrasto generale e locale, faccio in modo che l’immagine funzioni come insieme di parti coerenti e che non vadano in contrasto tra di loro.

Poi c’è il discorso della qualità. Mai basarsi solo sui racconti, dovete vedere con i vostri occhi. Se volete essere riconosciuti come Maestri, allora la tecnica si deve vedere, non può essere trasparente all’osservatore. La tecnica è una parte del lavoro. Non è il percorso che porta all’opera d’arte: è l’opera d’arte stessa. Così come lo stile delle pennellate di un pittore lo identifica al pari dei suoi soggetti (pensate alle Ballerine di Degas), così i particolari colori, le scale tonali e il contrasto utilizzati da fotografo lo identificano al pari delle scene che fotografa.

 

 

Conclusioni

 

Si, io manipolo le mie immagini. Lo faccio per far vedere la mia tecnica e portare al pubblico le mie emozioni.

 


©2007 Aristide Torrelli