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La stampa in grande formato

 


 

Con l’avvento del digitale, comincia a farsi strada la voglia di stampare grandi formati (30 x 40 cm o anche di più). Sembra come se tutte le paure dell’ingrandimento dei tempi della pellicola siano svanite. Eppure non tutti i file si possono ingrandire a dismisura. E poi si devono anche tenere presenti alcune cose che cambiano nella fase di ripresa, se vogliamo ingrandire molto.

 

 

Cos’è per me il grande formato?

 

Per grande formato intendo una stampa di dimensioni del lato corto tra i 30 cm e i 70 cm e del lato lungo tra i 40 cm ed i 100 cm. Insomma, almeno un 30 x 40 cm e non oltre un 70 x 100 cm. Ovviamente anche una panoramica 30 x 90 cm la intendo come grande formato. Sono in ogni caso dei formati ottenibili dalle reflex digitali attualmente sul mercato, i modelli da 10/12/15/18/21/24 megapixel. Più ce ne sono e meglio è. Per superare, invece, tali dimensioni di stampa, per me, si deve passare al medio formato digitale con i suoi costi, invero molto elevati (parliamo di almeno 20.000€ per un sistema minimale, un dorso, una fotocamera ed un paio di ottiche). Noi ragioneremo su riprese con reflex digitali APS-C o, meglio ancora, full frame (con sensore 24 x 36 mm).

Per poter ottenere delle ottime stampe in questi formati sono necessarie alcune cose che si spalmano su tutto il processo, dallo scatto alla stampa passando per l’elaborazione.

 

 

 

Castel Sant'Angelo al tramonto, Canon EOS 5D con 24-105 f/4 L IS

 

 

La ripresa

 

In questa fase dobbiamo lavorare per ottenere il file migliore possibile. Sento già delle voci che dicono:”Ma io lo faccio già!”. Benissimo, allora ripassiamo alcuni concetti, ricordando che io sono un paesaggista e ci sono delle impostazioni che prediligo.

 

 

La nitidezza (riassunto da  La nitidezza)

 

Il concetto di nitidezza consiste di due concetti separati: risoluzione e acutanza.

 

 

 

Quand’è che una stampa sarà nitida? Dipende da tante cose

 

La risoluzione dell’obiettivo;

La risoluzione del sensore;

Il movimento della fotocamera o del soggetto;

La profondità di campo;

L’utilizzo del diaframma a cui l’obiettivo fornisce i risultati migliori;

 

Per la post produzione in digitale abbiamo anche:

Lo sharpening applicato in post produzione;

La risoluzione nativa della stampante;

La carta utilizzata e la sua risoluzione (si, anche le carte per ink jet hanno una risoluzione).

 

In pratica

 

Non c'è scelta: utilizzate ottiche di elevata qualità al loro diaframma migliore (lo si vede dalle curve MTF) su macchine con sensore dalla risoluzione elevata. La stampa, ovviamente, su carta di elevata qualità.

 

 

 

La messa a fuoco

 

Il Circolo di Confusione e la profondità di campo (riassunto da vfrgjsahvakjsh)

 

Immaginate la luce che, partendo dal soggetto, attraversa l’obiettivo e arriva sul sensore. Solo il soggetto alla distanza a cui è regolata la messa a fuoco dovrebbe apparire ben focheggiato ma, a causa di limitazioni dell’occhio, una zona ben più ampia si vede a fuoco nella fotografia. Questa zona, o meglio l’insieme delle distanze che la rappresenta, si chiama Profondità di Campo, PdC.

Un soggetto a distanza p dall’obiettivo, viene messo a fuoco a distanza q dietro la lente. Un soggetto più lontano dalla lente, viene messo a fuoco in un punto davanti al sensore. Perciò questo punto, sul sensore, forma un circolo di piccole dimensioni.

Questi circoli si chiamano Circoli di Confusione, CdC. Se il CdC è sufficientemente piccolo, il soggetto viene visto a fuoco e la distanza soggetto-lente ricade nella Profondità di Campo.

 

Ma quanto è grande un CdC accettabile?

 

Il valore di CdC accettabile dipende da come verrà vista una fotografia. In linea di principio, una fotografia dovrebbe essere vista dal suo giusto punto di prospettiva, cioè in modo che l’occhio abbia lo stesso angolo di visuale dell’obiettivo usato in ripresa. Quindi, una foto scattata con un grandangolare dovrebbe essere vista da vicino agli occhi per riempire tutto il campo visivo, mentre una ripresa con un tele dovrebbe essere vista da una certa distanza (la prospettiva in una fotografia dipende solo dalla posizione dell’obiettivo rispetto al soggetto, non dalla sua focale).

 

Di solito, però, le fotografie vengono osservate da 25/30 cm, indipendentemente dalla lunghezza focale dell’obiettivo utilizzato. Generalmente, quindi, si utilizza un valore costante di CdC. L’industria ha scelto un valore di circa 30 micron per il CdC su un sensore 24 x 36 mm. Canon, nel suo EF Lens Work II, conferma l’utilizzo di 0.035 mm come CdC dei suoi obiettivi EF.

 

La PdC è un fenomeno strettamente ottico e, una volta fissato il CdC, non c’è discrezionalità, solo matematica.

Sappiamo tutti che più il diaframma di un obiettivo è chiuso e più profondità di campo c’è. Alcuni, erroneamente, credono che un grandangolare abbia più profondità di campo di un teleobiettivo.

 

I segni sull’ottica per la PdC sono messi in base al CdC che ha scelto il costruttore.

 

Se non volete perdere troppo tempo nei ragionamenti, quando siete in campo, utilizzate un diaframma più chiuso di uno stop rispetto a quanto necessario secondo la scala delle profondità di campo. Vi troverete bene anche se farete grandi stampe perché, fondamentalmente, starete diminuendo le dimensioni del CdC. Insomma se i segni "buoni" sulla scala delle PdC incisa sull'ottica dicono di utilizzare f/11, voi utilizzate f/16.

 

Il diaframma da utilizzare deve comunque essere uno a cui l’obiettivo lavora al meglio (curve MTF oppure f/8 – f/11 su una reflex APS-C ovvero f/11 – f/16 su una full frame) e non soffre dell’effetto della diffrazione. Ovviamente la fotocamera va impostata in modalità priorità dei diaframmi (Av sulle Canon).

 

 

La profondità di campo deve essere verificata utilizzando l’apposito pulsante che chiude il diaframma all’effettiva apertura di lavoro. Guardate nel mirino e fate passare qualche secondo. L’occhio si abitua alla luminosità ridotta e vi permette di controllare la profondità di campo.

 

 

 

Non utilizzate alti ISO: per il grande formato esiste solo ISO 100. Perché? Perché a sensibilità superiori intervengono dei meccanismi di riduzione del rumore della fotocamera oppure dovete utilizzare un filtro per eliminarlo in postproduzione. Togliere il rumore si fa a scapito dei dettagli fini: si ammorbidisce l’immagine.

 

Micromosso

 

Una particolare categoria di mosso, il micromosso, deriva da lievi vibrazioni della fotocamera (come quelle provocate dal ribaltamento dello specchio nelle fotocamere reflex) o delle mani del fotografo durante lo scatto. Oltre a dipendere dal tempo di esposizione, il micromosso dipende in maniera importante anche dalla lunghezza focale; un teleobiettivo, infatti, accentua gli eventuali spostamenti della camera, i cui effetti possono essere, invece, parzialmente annullati da un'ottica corta come un grandangolo.

Il micromosso rende non nitidi anche gli oggetti fissi, come le pareti e i cartelli.

Il micromosso è più difficile da distinguere rispetto a un vero e proprio errore di messa a fuoco. Gli inglesi usano un'unica parola, blur, per riferirsi allo sfocato e al mosso, identificando quest'ultimo con motion blur.

Capite ora il legame con il CdC? Se il CdC è piccolo, allora il micromosso può essere più evidente.

 

E’ obbligatorio l’uso del treppiede e non solo per i bassi ISO e diaframmi chiusi che possono portare a tempi lunghi. Evitate assolutamente lo scatto a mano libera: a questi ingrandimenti il micro mosso si vede e il treppiede è l’unico rimedio. Badate che non scherzo, stiamo parlando di 20x o 30x (ingrandimenti) ed il minimo micro mosso abbassa il micro contrasto e quindi la nitidezza generale. Non commettete l’ingenuità di ragionare come se doveste ottenere un buon 20 x 30 cm. E fate in modo che il treppiede e la testa siano di buon livello ed adatti a sostenere un peso di almeno cinque kg. Non mettete 2000€ di attrezzatura su 30€ di treppiede.

Altro accorgimento è l’utilizzo dello scatto remoto o del telecomando. E’ assolutamente vietato toccare la fotocamera, sempre per evitare vibrazioni di vario tipo.

Impostate poi la reflex per l’alzo preventivo dello specchio (MLU, mirror lock up): alla prima pressione del pulsante di scatto si alza lo specchio, al secondo, dopo alcuni secondi per far smorzare le vibrazioni dello specchio, si apre l’otturatore ed avviene l’esposizione.

 

La prima messa a fuoco si fa con l’autofocus (AF) e poi si passa alla messa a fuoco manuale (MF) per poterla affinare ed impedire che si sposti perché, magari, il sistema autofocus ultra sofisticato decide di rimettere a fuoco (al momento dello scatto) su un altro punto. Utilizzate il live view ingrandendo l’immagine ovvero utilizzate un lentino (2x o 3x) per ingrandire l’immagine nel mirino. Ricordate che gli schermi di messa a fuoco attuali sono progettati per l’autofocus e mancano degli ausili per la messa a fuoco manuale che si trovavano sulle macchine anni ’80 (stigmometro e microprismi).

 

  

 

 

La diffrazione

 

La diffrazione è, di solito, considerata poco più di una curiosità. Qualche volta, tuttavia, è così evidente che non può essere ignorata. Se prendete un DVD ed osservate la sua superficie, vedrete che la luce bianca viene diffratta  in un arcobaleno colorato. Questo succede perché i fori (pit) sulla superficie del disco sono separati da distanze dell’ordine della lunghezza d’onda della luce (650 nm, la lunghezza d’onda del rosso).

La luce è un’onda elettromagnetica e l’effetto della diffrazione diventa avvertibile quando l’onda luminosa interagisce con piccole aperture, dove tutti i raggi luminosi viaggiano vicini.

Piccole aperture? Per caso il diaframma? Già, proprio così:

 

Il punto importante è che il valore di N (diaframma) calcolato per una certa dimensione del sensore è il valore massimo che si può utilizzare senza degradare l’immagine per diffrazione. Questo calcolo vale per una lente ideale, il cui unico limite è la diffrazione. Gli obiettivi reali hanno varie aberrazioni e, di solito, mostrano la risoluzione migliore chiudendoli di circa due f/stop rispetto alla massima apertura. Tuttavia, al crescere di N, le prestazioni diminuiscono principalmente per la diffrazione.

ÿ       Solo la dimensione del sensore determina il massimo valore utile di diaframma. Tale valore massimo vale la metà della diagonale del sensore;

ÿ       Per il sensore full frame 35 mm tale valore è N=22 (43 mm è la diagonale); per l'APS-C, N=13;

 

 

 

L'esposizione

 

Per l’esposizione non do consigli, seguite l’esposimetro e, al limite, fate del bracketing. Attenzione solo ai tempi troppo lunghi e alla eventuale presenza di oggetti in movimento nell’inquadratura. Un tempo lungo darebbe degli oggetti mossi e quindi brutti da vedere: pensate all’erba mossa dalla brezza. Per evitare tempi troppo lunghi (ricordate che stiamo esponendo a f/8 – f/11 o più) vi concedo di alzare leggermente la sensibilità ISO. Che significa leggermente? Significa ad un livello tale che l’eventuale rumore introdotto sia sopprimibile nella fase di elaborazione senza perdita eccessiva di dettaglio oppure non visibile (la mia Canon EOS 5D non mostra rumore a 400 ISO a questi ingrandimenti!). Per me significa 200 ISO su una APS-C o 400 ISO su una full frame.

 

Una volta impostato il tempo di scatto, siamo pronti a scattare. Prima di premere a fondo il pulsante del telecomando o dello scatto remoto, chiudiamo il mirino con il tappo fornito a corredo o con l’apposita levetta sui corpi professionali Canon e Nikon. Serve ad evitare influenze esterne sull’esposimetro durante l’esposizione.

A questo punto abbiamo un file raw della massima qualità possibile. Passiamo allora alla fase successiva.

 

 

L’elaborazione

 

 

Partiamo da immagini catturate in RAW. Il JPG non ci da sufficiente flessibilità nella elaborazione e noi abbiamo bisogno di massima qualità d’immagine.

Attenzione che le dimensioni dei file sono ragguardevoli, perciò utilizzate un PC potente e con molta memoria. Dimensioni dell’ordine dei 100 megabyte e più sono la normalità. Il file deve avere profondità di 16 bit per elaborazioni ottimali e una risoluzione di uscita di 240 dpi (non è necessario arrivare a 300/360 dpi).

 

 

Il controllo delle macchie dovuto a sporco sul sensore deve essere un’operazione ossessiva. Un punto sul sensore diventa una macchietta su un 20 x 30 cm ed un enorme pallone da calcio su un 70 x 100 cm.

 

 

Le elaborazioni locali.

 

Osservate bene tutte le zone dell’immagine perché potrebbe essere necessaria una correzione limitata ad una certa zona e non su tutta l’immagine. Quello che è limitato su una videata diventa un foglio A4 su una stampa 70 x 100 cm.

 

Attenti anche a dominanti di colore localizzate in alcune zone dell’immagine.

In ultimo applicate un bel po’ di Clarity di Lightroom. E’ uno sharpening leggero con raggio ampio che fa “scrocchiare” l’immagine. In Photoshop si fa un Unsharp mask con Radius 50 e Amount 20. Incrementa il contrasto locale. 

 

 

 

 

Rumore

 

Osservate l’immagine al 100% nelle zone scure. E’ lì che si annida il rumore. Se presente, eliminatelo con gli appositi strumenti ma non abbiate la mano troppo pesante. Insieme al rumore, vanno via anche i dettagli fini.

 

La Grana

 

La nostra percezione della nitidezza dipende anche dal dettaglio presente nell’immagine. A volte una grana grandicella ma nitida aiuta. Può quindi essere opportuno introdurla in maniera artificiale per aiutare l’immagine.

 

 

 

Fringing

 

Altra cosa da esaminare mentre l’immagine è ingrandita al 100% è la presenza di fringing (rosso o verde) nelle zone ad alto contrasto.. 

 

Ridimensionamento

 

E’ la penultima cosa da fare. Potete utilizzare software appositi ma anche Photoshop si comporta egregiamente. Utilizzate l’algoritmo bicubic smoother, quello che per me da i migliori risultati, selezionando inoltre la risoluzione d’uscita (240 dpi) e la dimensione finale dell’immagine.

 

 

Sharpening

 

Lo sharpening è una fase delicata, da svolgere in maniera quasi maniacale. L’osservazione dell’effetto dello sharpening si fa ingrandendo a video almeno al 100% per il 30 x 40 cm, al 200% per il 50 x 70 cm ed il 70 x 100 cm.

 

 

 

La stampa

 

Per un 50 x 70 cm o un 70 x 100 cm il provino è un 30 x 40 cm. Per un 30 x 40 cm il provino è un 20 x 30 cm. E’ un processo per approssimazione successiva.

 

Ricordate di lasciare un bordo bianco di un paio di cm per maneggiare la stampa.

 

Stampate l’immagine su carta di qualità (Epson, Hanhemuhele…) e con inchiostri a pigmenti (Ultrachrome, Vivera…) con i profili di colore corretti per la combinazione carta/inchiostri. Se potete scegliere, utilizzate il modo di stampa unidirezionale. Rallenta la stampa ma massimizza la qualità.

La stampa potete farla da Photoshop, se non volete usare un RIP (Raster Image Processor).

 

 

 

Stampando da Photoshop, fate attenzione che file grandi hanno bisogno di tanta RAM. Impostate l’ammontare di RAM nelle preferenze di Photoshop almeno al 40% altrimenti il programma si bloccherà in errore e butterete tanta carta.

 



 

 

Conclusioni

 

Ricapitoliamo il flusso di lavoro:

 

Ripresa:

  1. macchina su treppiede

  2. ottica eccellente

  3. scatto flessibile

  4. formato RAW

  5. ISO 100

  6. blocco dello specchio

  7. diaframma chiuso "il giusto"

  8. messa a fuoco manuale con live view

  9. mirino chiuso con il tappo

  10. misura esposizione

  11. scatto

 

Elaborazione:

  1. macchie di sporco

  2. elaborazioni locali

  3. dominanti

  4. clarity

  5. rumore

  6. grana

  7. fringing

  8. ridimensionamento

  9. sharpening

 

Stampa

  1. inchiostri a pigmenti

  2. carta fine art

  3. profili colore

  4. provino 30 x 40 cm

  5. bordo bianco intorno all'immagine

  6. modo di stampa unidirezionale

 

Ed ecco il risultato finale. E' Castel Sant'Angelo 70 x 105 cm su carta 80 x 110, Hanhemuhele Photo Rag stampata su Epson 11880 con inchiostri Epson Ultrachrome K3 Vivid Magenta.

 

 

 


©2010 Aristide Torrelli