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La storia degli schemi ottici

Ripercorriamo un paio di secoli

 


 

Questo articolo è la copia quasi integrale di un articolo di Michele Vacchiano (www.michelevacchiano.com) apparso nel 2001 su Nadir all'indirizzo http://www.nadir.it/ob-fot/STORIA_OBIETTIVI/storia_obiett.htm.
Lo pubblico, con il permesso dell'autore, perchè è di pregevole livello e centra perfettamente l'obiettivo citato nel titolo.


 

Partiremo da prima che Niepce ottenesse la sua eliografia su una lamina di rame ricoperta d'argento e spalmata di bitume di Giudea.

All'inizio c'era la camera oscura che i pittori usavano per tracciare gli elementi principali di un soggetto, di solito un paesaggio. Era fondamentalmente una macchina a foro stenopeico. Il foro stenopeico aveva vantaggi e svantaggi. Il vantaggio principale era che le immagini risultavano a fuoco indipendentemente dalla distanza tra il foro e il piano di proiezione; lo svantaggio era costituito da una luminosità ridottissima, che non permetteva al disegnatore di cogliere i particolari più fini dell'immagine. Se si allargava il buco, calava la nitidezza; se si restringeva il buco, non si vedeva nulla.

Già intorno al 1550 il matematico Gerolamo Cardano (inventore del giunto cardanico) ebbe l'idea di sostituire al foro una lente biconvessa. L'introduzione della lente portava con sé un vantaggio e uno svantaggio. Il vantaggio era costituito dal fatto che il buco più grande lasciava passare molta più luce, la quale veniva comunque focalizzata dalla lente e concentrata su un piano; lo svantaggio stava nel fatto che la distanza fra la lente e il piano di messa a fuoco (cioè la lunghezza della scatola nera) doveva essere attentamente calcolata. Infatti, se non coincideva con la lunghezza focale della lente, appariva tutto sfocato. Ma non basta: quanto detto funziona se la lente è focalizzata all'infinito; se occorre visualizzare oggetti vicini, ecco che le cose cambiano e le pareti della scatola devono allungarsi.

Nacque così il concetto di messa a fuoco, che all'inizio fu risolto con camere oscure dotate di pareti scorrevoli come gli elementi di un cannocchiale, poi con il classico soffietto ancor oggi utilizzato nelle macchine di grande formato. La qualità delle immagini ottenute con la lente di Cardano era piuttosto scadente ma i pittori non avevano eccessive pretese visto che servivano loro solo gli elementi essenziali da dover poi dipingere. La lente permise alla camera oscura di diventare portatile, non era più necessario entrarvi e abituare gli occhi all'oscurità: bastava mettersi un panno nero sulla testa e osservare dall'esterno l'immagine proiettata su un vetro smerigliato. Più tardi si scoprì che inserendo davanti alla lente un diaframma si riusciva a migliorare la qualità di immagine, perché si sfruttava l'area della lente meno afflitta dalle varie aberrazioni.

Nel 1814 l'inglese William Hyde Wollaston sostituì la lente biconvessa con un menisco convergente. Il diaframma fu sistemato dietro la lente, a una distanza tale da correggere, in parte, le principali aberrazioni. Wollaston è conosciuto anche per l'invenzione della camera lucida.

Nel 1829 Charles Chevalier progettò il primo vero sistema ottico, composto da un elemento positivo e uno negativo, fabbricati ciascuno con un diverso tipo di vetro ottico e caratterizzati da un potere di dispersione uguale e contrario, al fine di ridurre drasticamente l'aberrazione cromatica. Era nato il doppietto acromatico convergente, realizzato incollando una lente positiva in vetro flint ad alto indice di rifrazione a una lente negativa in vetro crown a basso indice di rifrazione, in modo da ottenere un sistema complessivamente positivo. Fu ideato per abbattere l'aberrazione cromatica dei telescopi astronomici a rifrazione ma, ben presto venne usato anche in campo fotografico.

 Nel 1840 il matematico ungherese Josef Petzval realizzò il primo obiettivo calcolato matematicamente: quattro lenti con diaframma al centro che garantivano una buona nitidezza in prossimità dell'asse ottico, con una degradazione graduale verso i bordi. Un obiettivo ideale per il ritratto che la Voigtländer provvide subito a produrre in serie e a commercializzare.

 

 

 

L'obiettivo aveva un'apertura relativa massima di f/6.3 ed era composto da due gruppi acromatici di lenti positive, distanziati fra loro e separati dal piano del diaframma.

I fotografi di paesaggio, però, avevano bisogno di obiettivi diversi da quello di Petzval; l'esigenza era quella di coprire un vasto angolo di campo mantenendo una nitidezza accettabile tanto al centro quanto ai bordi dell'immagine. Gli studi di John Henry Dallmeyer e C. A. Steinheil  portarono, nel 1900, alla realizzazione dell'Hypergon, un grandangolare capace di coprire un campo di 130 gradi prodotto e commercializzato dalla Goerz.

Verso la fine del XIX secolo le vetrerie Schott di Jena avevano  iniziato a produrre vetri ottici nei quali l'indice di rifrazione e l'indice di dispersione potessero essere modificati in maniera indipendente, aprendo così nuove strade. Gli obiettivi divennero schemi complessi, nei quali le lenti potevano essere montate separatamente oppure cementate fra loro. Le lenti unite insieme vengono chiamate "gruppi". L'espressione "quattro lenti in quattro gruppi" significa che ogni lente è separata dalle altre e costituisce un gruppo a sé, mentre se diciamo "quattro lenti in tre gruppi" significa che due di esse sono incollate insieme a formare un gruppo unico.

Ora attenzione: poiché la lente è una calotta sferica, i diversi punti-immagine non si focalizzano su una superficie piana, ma su una superficie sferica, detta superficie di Petzval. La somma di Petzval indica il raggio di curvatura di questa superficie sferica, che può essere concava o convessa, a seconda che la somma di Petzval sia positiva o negativa. E’ un’aberrazione e si chiama curvatura di campo. Andrebbe resa il più possibile prossima allo zero.

Nel 1893 l'inglese H. D. Taylor progettò un obiettivo con somma di Petzval uguale a zero, partendo da un doppietto acromatico, un elemento positivo e uno negativo cementati insieme. La novità stava nella separazione delle due lenti. In questo modo manteneva inalterata la somma di Petzval ed il sistema acquistava un potere positivo. Un ulteriore idea fu quella di dividere in due componenti l'elemento positivo, sistemandolo ai lati estremi dell'elemento negativo, con il diaframma in mezzo.

Lo schema era fortemente asimmetrico e permetteva una buona correzione delle aberrazioni extra assiali ed una riduzione della distorsione. Era nato il tripletto di Cooke. I primi modelli avevano aperture relative massime dell'ordine di f/6,3.

 

 

 

 

 Lo schema originario del Tripletto di Cooke.

 

 

Il tripletto di Cooke,  modificato in diversi modi, fu utilizzato per realizzare schemi come gli Elmar della Leitz, gli Heliar della Voigtländer, i Tessar e i Sonnar di Carl Zeiss.

Nel XIX secolo si usavano lastre fotografiche di grandi dimensioni. Un’ottica con un angolo di campo come un normale di oggi, circa 46°, doveva avere una lunghezza focale di circa 300 mm. Ricordate come erano fatte le fotocamere dell’epoca? Grosse scatole con un soffietto per permettere un certo allungamento. Una fotografia all’infinito con il 300 mm richiedeva un allungamento di 30 cm. Se poi avessimo voluto un medio tele (tipo un 100 mm odierno) saremmo arrivati a 60 cm. Se avessimo dovuto fare una macro avremmo dovuto aumentare ancora l’allungamento.

Intorno al 1890, John Henry Dallmeyer ideò lo schema a teleobiettivo: un'ottica il cui fuoco posteriore risultava più corto della lunghezza focale nominale, richiedendo così un tiraggio meno spinto.

Oggi definiamo "teleobiettivo" tutte le focali superiori alla normale. In realtà questo termine si riferisce a un ben preciso schema ottico, non sempre utilizzato negli obiettivi moderni; ci sono lunghe focali realizzate ricorrendo al tripletto di Cooke, altre seguono lo schema tradizionale lungo fuoco (un doppietto acromatico anteriore talvolta insieme ad una lente posteriore), altri ancora sono catadiottrici.

Uno dei più celebri schemi simmetrici è senza dubbio il Planar di Carl Zeiss, disegnato da Paul Rudolph nel 1896. Lo schema simmetrico è oggi utilizzato anche dagli obiettivi grandangolari progettati per il grande formato o per le fotocamere non reflex, quali lo Schneider Super Angulon o lo Zeiss Biogon.

Nelle reflex sarebbe impossibile utilizzare schemi di questo genere: il fuoco posteriore sarebbe così corto che lo specchietto, sollevandosi, andrebbe a sbattere contro la montatura dell'obiettivo. Per questo i grandangolari destinati alle reflex utilizzano uno schema brevettato dalla Angénieux per le ottiche cinematografiche e denominato "schema retrofocus" o "teleobiettivo invertito". Lo Zeiss Distagon, caratterizzato da un grande elemento negativo in posizione frontale, è un tipico rappresentante di questa famiglia.

 

Lo schema retrofocus

 

 

 

 

Un sistema convergente composto da due lenti sottili, L1 negativa ed L2 positiva, si dice in configurazione retrofocus quando il secondo piano principale, dove c'è il punto nodale posteriore (PNP), si trova a destra di L2. I raggi di luce vengono fatti divergere dall'elemento anteriore negativo e poi vengono fatti convergere dall'elemento posteriore positivo. Il fuoco posteriore risulta così maggiore della lunghezza focale.

 

Lo schema retrofocus Zeiss Distagon.

 

Il vantaggio principale dello schema retrofocus consiste nella possibilità di utilizzarlo sulle fotocamere reflex, dove la presenza di uno specchio ribaltabile impone che venga mantenuto un certo spazio fra l'elemento posteriore e il piano focale; i vantaggi secondari consistono in una più contenuta vignettatura. La correzione delle aberrazioni rende però complesso lo schema retrofocus, che richiede l'introduzione di gruppi di lenti negative. L'elevato numero di lenti rende inoltre importante la presenza di un severo ed efficace trattamento antiriflessi.

 

 

Schema a teleobiettivo

 

 

Per i teleobiettivi invece l'esigenza è opposta: avere un’ottica più corta della reale lunghezza focale, per questioni di ingombro. Ve l’immaginate un 600 mm lungo più di mezzo metro? La soluzione è speculare alla precedente, spostare il PNP davanti alle lenti.

Un sistema convergente composto da due lenti sottili, L1 positiva ed L2 negativa, si dice in configurazione telefoto quando il secondo piano principale, dove c'è il punto nodale posteriore (PNP), si trova a sinistra di L1. I raggi in arrivo sono fatti convergere dal gruppo anteriore positivo e la forte convergenza viene poi ridotta dal gruppo posteriore negativo. In questo modo si riduce la lunghezza fisica dell'obiettivo.

 

Entrambe queste soluzioni, come si vede, si perseguono con gruppi ottici divergenti in posizione opportuna (avanti per i grandangolari, dietro per i teleobiettivi). Con questi schemi può quindi capitare che il PNP si trovi davanti al PNA!

Esiste una ulteriore configurazione, quella in cui il secondo piano principale è localizzato tra le due lenti sottili positive L1 ed L2. Si chiama configurazione di Petzval.

 

Meno lenti è meglio

Fin dagli inizi della fotografia l'esigenza dei costruttori è staya quella di ottenere una sufficiente correzione delle aberrazioni mantenendo basso il numero di lenti del sistema. La spiegazione di questo sta nel fatto che ogni superficie aria-vetro provoca da un lato la rifrazione del raggio luminoso, dall'altro la sua parziale riflessione. L'aumento delle superfici aria-vetro, quindi, causa un aumento delle perdite di luce per riflessione.

Questo rappresentava un serio problema prima dell'invenzione del trattamento antiriflessi: gli schemi ottici dovevano per forza essere semplici, allo scopo di ridurre il più possibile la quantità di superfici aria-vetro attraversate dalla luce. Se il numero di lenti aumentava per migliorare la correzione delle aberrazioni, il contrasto subiva un calo. Già nel 1896 Taylor (l'ideatore del tripletto di Cooke) aveva osservato che le lenti più vecchie, rese opache dall'usura, trasmettevano una quantità di luce maggiore di quanto non facessero le lenti nuove e appena lucidate. Taylor ne dedusse, correttamente, che lo strato più opaco doveva essere caratterizzato da un indice di rifrazione inferiore a quello del vetro, e che fosse in grado di riflettere meno luce, permettendo una rifrazione migliore. Nel 1903 egli brevettò un sistema di deposito chimico di materiali antiriflettenti che tuttavia si rivelò poco sicuro. Nel 1936 il sistema fu perfezionato da Alexander Smakula, della Carl Zeiss, mediante il deposito per sublimazione di sostanze quali il fluoruro di calcio o di magnesio. Il trattamento antiriflessi permise di migliorare la correzione delle diverse aberrazioni mediante l'introduzione di nuovi elementi all'interno del sistema: una pratica che prima, come abbiamo visto, causava una perdita di contrasto direttamente proporzionale all'aumentare del numero delle lenti.

 

I nomi famosi

Esistono obiettivi che hanno caratterizzato la storia della fotografia e che ancora oggi vengono ricordati. Molti li apprezzano tuttora, nella convinzione che certi nomi siano garanzia di qualità. In realtà la tecnologia ha fatto passi da gigante, e chi acquista un  obiettivo di 50 o più anni fa rischia di ritrovarsi tra le mani un'ottica che non è più in grado di fornirgli quella qualità di immagine che oggi ci si aspetta.

La lente biconvessa è già un obiettivo, capace di focalizzare su un piano i raggi luminosi che la attraversano. Tuttavia è affetta da una grande quantità di aberrazioni, che la rendono sufficiente per la visione ma non certo adatta a formare un'immagine nitida su una superficie sensibile.

Il menisco convergente corregge parte delle aberrazioni e forma un'immagine leggibile. Alcuni obiettivi in plastica prodotti per le fotocamere pocket o per le usa e getta sono di fatto menischi convergenti.

Se si utilizza un obiettivo composto da un semplice menisco convergente e si sceglie di sistemare il diaframma in posizione frontale (cioè tra la lente e il soggetto), si otterrà una forte distorsione positiva, cioè a cuscinetto. Se invece si posiziona il diaframma dietro la lente (cioè tra questa e il piano focale), la distorsione acquisterà segno negativo e apparirà a barilotto. Se si accoppiano tra loro due menischi convergenti, separati dal piano del diaframma, le due aberrazioni, uguali ma di segno contrario, si elideranno a vicenda. Allo stesso modo vengono corrette l'aberrazione cromatica extra assiale e la coma. Questa è l'idea base degli obiettivi a schema simmetrico: due gruppi ottici aventi lo stesso grado di aberrazioni, che sistemati simmetricamente (cioè "a specchio") l'uno rispetto all'altro e separati dal piano del diaframma, compensano l'uno le aberrazioni dell'altro.

 

Il Doppel Anastigmat fu ideato da Paul Rudolph (Zeiss) nel 1890. Consisteva in un doppietto acromatico anteriore simmetrico rispetto a un secondo doppietto acromatico, sistemato posteriormente rispetto al piano del diaframma. Nel doppietto posteriore l'elemento in vetro flint era caratterizzato da un basso indice di rifrazione, mentre l'elemento in vetro crown aveva un alto indice di rifrazione. Questo contribuiva a correggere l'astigmatismo e la curvatura di campo in modo quasi ottimale. Una versione successiva prevedeva la sostituzione dei doppietti con gruppi costituiti da ben quattro lenti. Questa versione fu commercializzata a partire dal 1900 con il marchio Protar e fu la capostipite degli obiettivi convertibili: il gruppo posteriore poteva essere utilizzato da solo come obiettivo di lunga focale, oppure insieme a gruppi ottici anteriori diversi. Questo consentiva di variare le focali mantenendo costante il gruppo posteriore e sostituendo soltanto quello anteriore. Oggi una splendida serie di obiettivi convertibili è prodotta da Schneider per l'americana Wisner e commercializzata con il marchio Plasmat. Il Protar fu prodotto su licenza da numerose case (Bausch & Lomb, Krauss, Fritsch e altri) sia in Europa che negli Stati Uniti.

 

Il Dagor fu realizzato probabilmente da Emil Von Hoegh per la Goerz nel 1892. Dico "probabilmente" perché alcuni storici sostengono che esso fosse stato in realtà progettato in casa Zeiss e che Dagor significhi Doppel Anastigmat Goerz. Lo schema (6 elementi in 2 gruppi) consiste in due tripletti, ciascuno dei quali composto da lenti incollate fra loro. I due elementi esterni di ogni tripletto sono positivi, mentre quelli centrali, negativi, servono rispettivamente a correggere l'aberrazione sferica e la curvatura di campo. La riduzione delle superfici aria/vetro (quattro in tutto) migliora il contrasto e riduce il flare.

 

 

Schema originale del Goerz Dagor.

 

La correzione dell'aberrazione sferica residua imponeva l'uso di aperture relative piuttosto contenute, generalmente non superiori a f/5,6.

Uscito di produzione in Europa nel 1926, con l'acquisizione della Goerz da parte della Carl Zeiss , il Dagor continuò ad essere prodotto negli USA dalla Goertz American Optical Co. (divisione statunitense della Goerz staccatasi dalla casa madre dopo la fusione con la Zeiss) fino a tempi abbastanza recenti (anni '70). L'azienda, divenuta Goertz Optical Co. Inc. nel 1964, fu acquistata da Kollmorgen nel 1971. A sua volta la Kollmorgen fu assorbita da Schneider l'anno successivo. Alcuni modelli, caratterizzati da un elevato cerchio di copertura , furono per decenni gli obiettivi preferiti da chi utilizzava le macchine in grande formato. L'idea dei due tripletti simmetrici fu sfruttata anche da Schneider per il suo Angulon, ma qui c'era un elemento positivo centrale incollato in mezzo a due elementi negativi esterni. Questo permise di rendere più sottili i gruppi ottici riducendo drasticamente la vignettatura. Per lo stesso motivo negli Schneider Angulon e Super Angulon la superficie delle lenti esterne (frontale e posteriore) è più ampia del diametro del cono di raggi rifratto dal sistema.

 

 

Schneider Angulon: due tripletti cementati simmetrici.

Schneider Super Angulon: classico schema simmetrico. Gli elementi esterni sono due menischi divergenti.

 

 

 

Lo schema Planar fu ideato da Paul Rudolph (Zeiss) nel 1896. Lo schema (6 elementi in 4 gruppi disposti simmetricamente) riduceva la curvatura di campo e l'astigmatismo. L'assottigliamento dell'elemento negativo e la riduzione dello spazio fra le lenti contribuì a ridurre l'aberrazione sferica. I due elementi (positivo e negativo) erano caratterizzati da un identico indice di rifrazione ma da un diverso potere di dispersione. Lo schema Planar aveva un contrasto piuttosto basso, a causa delle numerose superfici aria/vetro che provocavano fenomeni di interriflessione, perciò non ebbe molte applicazioni prima dell'introduzione del trattamento antiriflessi. Oggi quasi tutti gli obiettivi ad alta luminosità prodotti dall'industria ottica giapponese sono derivati dallo schema Planar. Furono molti i fabbricanti che si rifecero allo schema Planar modificandolo. Cito solo il Kodak Ektar perché usato da Ansel Adams.

 

 

Planar 80 mm progettato per la fotocamera Contax 645

Planar 50 mm f/1,4 progettato per le reflex Contax/Yashica 35 mm

 

 

Nel 1900 Hans Harting della Voigtländer modificò in senso simmetrico il tripletto di Cooke. Sostituì l'elemento posteriore (positivo) del tripletto con un doppietto di lenti incollate insieme, capace di correggere astigmatismo, aberrazione sferica e aberrazione cromatica. L'obiettivo, denominato Heliar, era però affetto da una coma evidente, cosa che costrinse Harting a rivedere il progetto originale. Nel 1903 egli invertì l'ordine degli elementi esterni in modo che la superficie incollata rivolta verso il piano del diaframma apparisse convessa invece che concava. Questo aumentava l'astigmatismo ma migliorava la correzione delle altre aberrazioni.

Lo schema Tessar (quattro in greco), diretto discendente del tripletto di Cooke, fu ideato nel 1902 da Paul Rudolph. Utilizza il doppietto posteriore dell'Anastigmat e un gruppo anteriore costituito da un doppietto di lenti separate e non cementate. Questo elemento anteriore è caratterizzato da un indice di rifrazione molto basso. Il suo unico scopo è quello di correggere le aberrazioni residue dell'elemento posteriore acromatico. L'apertura relativa massima del progetto iniziale era f/6,3, ma nel 1917 raggiunse f/4,5. Nel 1930, grazie ad ulteriori modifiche, fu possibile raggiungere f/2,8.

 

 

 

Tessar 45 mm per le reflex Contax/Yashica;

 

 

L'Elmar f/3,5 che equipaggiava la prima Leica fu disegnato da Max Berek nel 1920 secondo lo schema Tessar. Con le sue quettro lenti in tre gruppi, leggero, poco costoso e ben corretto, nitido e ben contrastato, questo schema ebbe un grande successo. Tutti i produttori realizzarono schemi tipo Tessar caratterizzati da diversi nomi commerciali: Xenar di Schneider e Skopar di Voigtländer sono due esempi.

L'Ernostar nacque nel 1919 in casa Ernemann ad opera di Ludwig Bertele. L'idea originaria era quella di incrementare l'apertura relativa massima del tripletto di Cooke. Allo stesso scopo, già Charles Minor aveva inserito un menisco positivo fra i due elementi anteriori. Bertele decise di partire dalla modifica di Minor, sostituendo i due elementi anteriori con due doppietti acromatici incollati. Fu il primo obiettivo a raggiungere l’apertura di f/2. Nel 1920, una nuova modifica portò la luminosità a f/1,8.

Nel 1930, lo stesso Ludwig Bertele, passato alla Zeiss a seguito  dell'assorbimento della Ernemann da parte del colosso tedesco, iniziò a disegnare un nuovo schema basato sull'Ernostar f/1,8. Nel 1931 lo schema Sonnar vedeva la luce. La sua apertura relativa era pari a f/2. Un elemento esterno ad alto indice di rifrazione e un elemento interno a basso indice di rifrazione erano il cuore del tripletto negativo del Sonnar. Nel 1932,l'aggiunta di un elemento incollato al gruppo posteriore permise di portare la luminosità a f/1,5. Nonostante l'apertura, le aberrazioni di ordine superiore erano sufficientemente corrette. Per celebrare le olimpiadi di Berlino del 1936, venne prodotto L’Olympia Sonnar.

 

 

 

Lo schema Sonnar mostra la derivazione dal tripletto di Cooke

 

Nel 1933 Robert Richter (Zeiss) realizzò un disegno simmetrico che chiamò Topogon. Grazie all'ampio angolo di campo e alla distorsione molto contenuta, il Topogon divenne l'obiettivo preferito per la fotografia aerea e godette di un successo incontrastato fino al 1952, anno in cui venne messo in commercio il Wild Aviogon. Il Topogon copriva un angolo di campo di 90° con un'apertura relativa massima di f/6,3. Con lo schema Topogon furono prodotti molti obiettivi, alcuni dei quali, come spesso avveniva, erano realizzati anche secondo altri schemi: Rectagon e Geotar della Goerz, Rodenstock Ronar, Wide angle Raptar della Wollensack.

 

 

 

 Schema originale dello Zeiss Topogon.

 

Il problema degli obiettivi grandangolari a schema simmetrico era essenzialmente rappresentato dalla necessità di diaframmare molto per correggere l'aberrazione sferica. L'esigenza era quella di progettare schemi che consentissero di lavorare anche a diaframmi ragionevolmente aperti ma che nello stesso tempo fossero caratterizzati da un numero ridotto di lenti.

Nel 1951, Ludwig Bertele progettò un obiettivo grandangolare a schema simmetrico, il Biogon, destinato non solo alle macchine di grande formato, ma anche alle Contax a telemetro e alle Hasselblad. L'elemento frontale era costituito da due menischi, l'elemento posteriore da un menisco semplice molto incurvato. L'estrema vicinanza dell'elemento posteriore al piano focale riduceva la distorsione e migliorava il contrasto. Questo eccellente progetto fu presto sfruttato, con alcune modifiche, da altri costruttori: Schneider ad esempio realizza il suo Super Angulon inserendo un solo menisco alle due estremità.

 

 

Schema originale dello Zeiss Biogon f/4,5

Biogon realizzato per le Contax G

 

 

L'anno successivo (1952) Bertele riprende questo disegno per realizzare l'Aviogon, commissionatogli dalla Wild di Heerbrugg (Svizzera). Con i suoi due menischi alle estremità, l'Aviogon da 115 mm copriva il formato 5x7"/13x18 cm, assicurando una bassa distorsione su tutto il campo. Questa caratteristica lo rese ideale per la fotografia aerea e la fotogrammetria. Poco tempo dopo Bertele brevettò uno schema con tre menischi ad ogni estremità, capace di garantire un angolo di campo di 120 gradi.

Nel 1966 Erhard Glatzel (Zeiss) riprese il progetto del Biogon per realizzare un nuovo schema (5 elementi in 3 gruppi), che chiamò Hologon. Anche in questo caso l'elemento posteriore doveva restare vicinissimo al piano focale per garantire un buon contrasto, e per questo l'obiettivo non poteva essere utilizzato sulle reflex, proprio come il Biogon. La distorsione è ben corretta come pure la curvatura di campo. La forte vignettatura impone l'uso di filtri graduati più scuri al centro che ai bordi.

 

 

 

Hologon f/8 per la Contax G.

 

 

 

 L’obiettivo convertibile Taylor-Hobson Cooke
 

Ansel Adams ha scattato molte delle sue immagini più famose con un obiettivo convertibile come questo, come dice nel suo libro: Examples: The Making of 40 Photographs. L’ottica permette di avere a disposizione tre lunghezze focali, usata come tripletto o usando i gruppi anteriore o posteriore da soli. Le tre focali sono:

 

Lunghezza focale

Apertura relativa

Schema ottico

312 mm

f/6.8

Tripletto

483 mm

f/12.5

Gruppo posteriore

673 mm

f/16

Gruppo anteriore

 

Tutte e tre le opzioni coprono il formato 8x10 / 20 x 25 cm con messa a fuoco all’infinito.

 



Cooke Series XV Triple Convertible, 1940s
Cooke Triplo Convertibile Serie XV

 

Quest’ottica si basava su uno schema del 1931 di H.W. Lee, uno dei progettisti inglesi più originali.

 

 

Un confronto

Chiudiamo confrontando gli schemi ottici Leica e Contax per le loro telemetro.

 

 

 

 

Si vede come la Zeiss, per i suoi obiettivi per la Contax G a telemetro (anni '90) abbia copiato gli schemi delle stesse lenti Leica. Forse copiato è una parola grossa visto che l’ottica ed i suoi principi sono noti da più di tre secoli. Diciamo che Zeiss ha seguito linee di sviluppo analoghe. E’ difficile inventare qualcosa di nuovo e, forse, non è nemmeno necessario.

Questo invece è il Sonnar T* f/2.8 90 mm per la Contax G1/G2. Vi riporto quello che viene dichiarato sul manualetto dell’ottica, per farvi capire come mi piacerebbe che fossero fatti tutti i manualetti degli obiettivi. Ci sono, addirittura, le posizioni dei punti principale e delle pupille, oltre che le curve MTF calcolate.

 

  • f/2,8

  • f = 90,3 mm

  • FoV 27° diagonale

  • Pupilla d’entrata 35,9 mm dietro il vertice della prima lente

  • Diametro pupilla d’entrata 31,7 mm

  • Pupilla d’uscita 22 mm davanti al vertice dell’ultima lente

  • Diametro pupilla d’uscita 23,5 mm

  • Posizione del piano principale H 2,5 mm dietro il vertice della prima lente

  • Posizione del piano principale H’ 46,4 mm davanti al vertice dell’ultima lente

  • Distanza tra il primo e l’ultimo vertice 45,9 mm

 

 

 

 

Conclusione

Siamo giunti alla fine di un viaggio che mi piace ritenere molto interessante e, forse, anche un pochino utile. Quanto scritto dovrebbe avervi messo in grado di capire quello che i costruttori dicono a proposito dei loro obiettivi ed anche di poterne "leggere" gli schemi ottici. Non credo sia utile sapere a quale famiglia appartiene l'obiettivo che si sta per acquistare, sono ben altri i fattori che giocano un ruolo determinante. Sapere che i discendenti del tripletto di Cooke sono caratterizzati (generalmente) da un elevato microcontrasto non mi aiuta se nel catalogo del mio fornitore quel 400 mm è costruito in altro modo. Se compro Canon mi devo adattare alle loro scelte. Però quello che abbiamo detto ci fa rivivere il percorso dell'ottica fotografica, dei suoi sforzi per arrivare ad obiettivi di alta qualità che offrono elevata accuratezza costruttiva e ottimi trattamenti antiriflesso. E da questi e dalla qualità e lavorazione del vetro ottico dipende il costo, non dal numero di elementi. A presto.


©2001 Nadir e Michele Vacchiano