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Il diaframma

 


Per regolare l’intensità del flusso luminoso che attraversa un obiettivo, si usa un dispositivo chiamato diaframma. Il più comune, oggi, è il tipo ad iride che permette facilmente di avere le regolazioni anche sulle aperture intermedie. Ne esistono anche di altri tipi, come ad esempio quello del LensBaby che consiste in una serie di dischi forati.

Il diaframma si regola ruotando una ghiera numerata solidale con l’obiettivo sulle ottiche con diaframma manuale. Esistono anche ottiche senza ghiera del diaframma. In questo caso la regolazione avviene mediante una ghiera sul corpo macchina che trasmette dei comandi elettrici ad un diaframma servoassistito.

 

 

Un 21 mm totalmente manuale impostato a f/5,6, come evidenziato dal punto bianco sopra la scala dei diaframmi.

Quest’ottica ha aperture che vanno da f/4.0 a f/22

 

 

Ghiera di controllo del diaframma elettrico su una Canon

 

Il numero f

 

Il numero f esprime l’apertura relativa del diaframma, cioè quanta luce fa passare attraverso il suo foro.

 

 

Ogni incremento di numero f porta una diminuzione dell’apertura. Uno stop dimezza la luce che passa. L’apertura effettiva dipende dalla lunghezza focale dell’ottica.

In ottica il numero f, detto anche rapporto focale o apertura relativa, di un sistema ottico è pari alla lunghezza focale divisa per l’apertura effettiva. Esprime la pupilla d’entrata dell’obiettivo in funzione della focale. E’ un numero adimensionale (senza unità di misura) ed esprime la “velocità” dell’obiettivo.

Per avere un sistema uniforme ed univoco di identificazione delle aperture di diaframma, la Royal Photographic Society sviluppo, nel 1881, una serie di regole che furono riviste nel 1891 e poi, tra il Congresso di Lione (1895) e, soprattutto, il Congresso Internazionale di Parigi del 1900, furono diffuse e progressivamente adottate come standard. Il diaframma, o meglio la ghiera, viene marcata con una serie di valori che partono dalla massima luminosità e vanno ad aumentare. La scala è la seguente:

 

f/1, f/1.4, f/2, f/2.8, f/4, f/5.6, f18, f/11.3, f/16, f/22.6, f/32,f/45.2, f/64 …

 

e così via, ogni numero essendo il precedente moltiplicato per 1,4 (\sqrt{2}).

L’apertura effettiva si determina secondo specifiche modalità che non serve riportare ora. Tenete tuttavia presente che l’apertura effettiva dipende anche dalla distanza di messa a fuoco e questo concetto è ben noto a chi pratica macrofotografia.

Il numero f/#, a volte scritto come N, vale:

f/\# = N = \frac fD \

 

dove f è la lunghezza focale e D il diametro della pupilla d’entrata.

Per convenzione f/# è un unico simbolo e valori specifici di diaframma si scrivono sostituendo il numero a #. Ad esempio, se la lunghezza focale è 11 volte il diametro della pupilla d’entrata, allora avremo f/11, ovvero N = 11. Più grande è il numero f/#, meno luce raggiunge il piano immagine del sistema. Essendo il rapporto tra due numeri consecutivi pari a \sqrt{2}, abbiamo che la luce trasmessa si decrementa o incrementa secondo il quadrato del numero f. Cioè, raddoppiare il numero f diminuisce di quattro volte la luce e quindi dobbiamo incrementare il tempo di esposizione (a parità di ISO) di quattro volte.

Analogamente, dimezzare il numero f aumenta di quattro volte la luce e quindi dobbiamo ridurre il tempo di esposizione (a parità di ISO) di quattro volte.

Invece, se apriamo il diaframma di un solo stop (passando ad esempio da f/5,6 a f/4) la luce che entra aumenta di 1,4 volte. Se chiudiamo il diaframma di uno stop (da f/8 a f/11, ad esempio) allora la luce diminuisce di 1,4 volte.

Questa variazione di un f/stop, un’unità, si chiama anche EV (Exposure Value, valore d’esposizione).

 

Il diametro della pupilla d’entrata è proporzionale al diametro dell’apertura fisica del sistema, il diaframma. L’assunzione comune (e comoda) in fotografia che il diametro della pupilla d’entrata sia uguale all’apertura fisica dell’obiettivo non è corretta per molti tipi di ottiche, perché non tiene conto dell’effetto d’ingrandimento delle lenti davanti al diaframma.

Un 100 mm impostato a f/4 avrà il diametro della pupilla d’entrata pari a 25 mm. Un 300 mm a f/4 avrà una pupilla di 75 mm. Il diametro dell’apertura del 300 mm è più grande di quello del 50 mm ma entrambi trasmettono la stessa luce al sensore. Attenzione, però: non hanno lo stesso angolo di campo. Non inquadrano cioè la stessa scena.

 

Le velocità di otturazione sono disposte secondo una scala simile, in modo che un passo sulla scala dei tempi corrisponda ad un passo sulla scala delle aperture. Aprire di un passo (uno stop) l’apertura dell’ottica permette al doppio della luce di raggiungere il film in un certo lasso di tempo. Perciò, per avere la stessa esposizione a questa nuova e più grande apertura, la velocità di otturazione deve essere il doppio più veloce (l’otturatore si apre per la metà del tempo).

 

 

Stop intermedi

 

Molte vecchie fotocamere avevano una scala graduate a stop interi ma l’apertura era variabile con continuità impostando il diaframma a metà tra due “scatti”. Sulle fotocamere moderne, specie quando il diaframma si imposta elettricamente dal corpo macchina, la scala è divisa in maniera più fine, a ½ stop o, meglio, a 1/3 stop. Perché 1/3 di stop è meglio? Perché segue la scala delle sensibilità ISO che è definita ad incrementi di sensibilità pari ad 1/3 di stop.

Una porzione di scala degli ISO è:

 

... 25, 32, 40, 50, 64, 80, 100, 125, 160, 200, 250, 320, 400, 500, 640, 800...

 

Anche la scala delle velocità di otturazione è definita a 1/3 di stop. Ci sono alcune differenze nei numeri scelti convenzionalmente come, ad esempio, 1/15, 1/30 e 1/60 di secondo invece di 1/16, 1/32 e 1/64. Ecco una porzione della scala dei tempi (il tempo è 1/):

 

…30, 40, 50, 60, 80, 100, 125, 160, 200, 250, 320, 400, 500, 640, 800, 1000…

 

 

Scala dei diaframmi a passi di un f/

f/#

 

 

1.0

1.4

2

2.8

4

5.6

8

11

16

22

32

45

64

90

128

 

Scala dei diaframmi a passi di ½ f/

f/#

1.0

1.2

1.4

1.7

2

2.4

2.8

3.3

4

4.8

5.6

6.7

8

9.5

11

13

16

19

22

 

Scala dei diaframmi a passi di 1/3 di f/

f/#

1.0

1.1

1.2

1.4

1.6

1.8

2

2.2

2.5

2.8

3.2

3.5

4

4.5

5.0

5.6

6.3

7.1

8

9

10

11

13

14

16

18

20

22

 

 

Il diaframma come influenza l’immagine ripresa?

Variare l’apertura del diaframma è come aprire o chiudere un rubinetto che fa entrare più o meno luce. Se chiudiamo troppo (a parità di ISO, tempo di scatto ed illuminazione) rischiamo di sottoesporre l’immagine, se apriamo troppo rischiamo di sovresporre.

La Profondità di Campo (PdC) aumenta alla chiusura del diaframma (numeri piccoli). Se invece tenete il diaframma più aperto (numeri grandi) allora l’immagine tenderà ad avere solo il soggetto ben a fuoco ed il resto sfocato. In effetti la PdC dipende dal diaframma, dalla lunghezza focale e dalla distanza di messa a fuoco perciò anche questi ultimi due parametri influenzano la zona a fuoco. Qualcuno si potrebbe chiedere se anche la dimensione del sensore o della pellicola influenzi la PdC: la risposta è no. Le dimensioni del sensore non hanno nulla a che vedere con un parametro che è influenzato solo dall’ottica. Tuttavia dovete sempre tenere a mente una cosa: per avere lo stesso campo inquadrato, sensori più piccoli necessitano di focali più corte. Si dice, infatti, che esiste un fattore di ingrandimento digitale per cui un 50 mm sulla full frame equivale ad un 80 mm su una Canon APS-C (a sensore ridotto). E’ chiaro allora che, se per inquadrare la stessa porzione di campo, lo stesso angolo di vista, usiamo una focale inferiore, abbiamo una PdC superiore. Ma questo dipende dalla focale e non dalle dimensioni del sensore. Il caso limite sono le compatte digitali che hanno ottiche da 5/7 mm di focale. Con esse abbiamo praticamente tutto a fuoco.

Anche la nitidezza di un’ottica è influenzata dalla chiusura del diaframma. La chiusura ottimale, di solito, è un paio di stop dopo l’apertura massima, intorno a f/5,6 o f/8. Se l’ottica è uno schema semplice (come il Tessar a quattro lenti), l’ottimo si raggiunge a f/11.

Lo schema Tessar

 Il motivo per cui chiudendo il diaframma a valori intermedi, e non oltre, migliora la nitidezza è dovuto a due fattori:

1.      a chiusure elevate (oltre f/8 – f/11) interviene la diffrazione;

2.      ad aperture elevate (sotto f/5,6) intervengono le aberrazioni, specie quelle del terzo ordine (aberrazioni di Seidel).

Le ottiche moderne compensano le aberrazioni con schemi ottici complessi e lenti a bassa dispersione o diffrattive, per permettere l’utilizzo anche a tutta apertura (vedi i lunghi tele Canon tipo il 400 mm o il 600 mm).

Chiudere il diaframma aiuta anche a ridurre/eliminare la vignettatura, cioè la caduta di luce ai bordi del fotogramma.


©2009 Aristide Torrelli