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La colpa è dell'attrezzatura



Qualche anno fa tutti i nikonisti aspettavano la D700x, una D3x nel corpo della D700. Aspettavano anche una risposta della casa giallo nera alla Canon 7D (18 megapixel). Prima di loro i Canonisti aspettavano la EOS 5D mark II perché la 5D non era più all’altezza…

Fermi là! All’altezza di che? E perché serviva la D700x? Ricominciamo (ma ci siamo mai fermati) con il “mi servono più megapixel” oppure con “Senza la mark II non posso fare questo o quello”?

Tutto questo vociare ricade sotto il tema citato nel titolo, la colpa è dell’attrezzatura. Chi fa questi commenti implica che senza questi oggetti non è in grado di produrre immagini accettabili. Ma come fanno certi professionisti a produrre dei lavori eccellenti con un’attrezzatura che non è di ultima generazione o con le specifiche più alte? Bella contraddizione, non c’è che dire.

Bella ma semplice da spiegare. L’utente pensa che un’attrezzatura nuova lo renderà più bravo. Una volta, quando suonavo la chitarra in un gruppo (anni ‘80), ho avuto il piacere di incontrare Nico De Palo, chitarrista dei New Trolls, a cena, dopo un loro concerto. Ha preso la mia chitarra e ha cominciato a suonarla. Quella chitarra non aveva mai suonato così prima e neanche dopo, devo ammettere. L’incredibile tecnica di Nico De Palo era in grado di tirare fuori tutto dalla mia chitarra. Nelle sue mani uno strumento migliore avrebbe fatto di più, sicuramente.

Tornando alla fotografia, se devo scattare in condizioni di scarsa luce ho bisogno di uno strumento adatto, tipo una EOS 1D mark IV invece di una EOS 50D ma la maggior parte degli utenti si lamenta che gli manca della risoluzione quando ancora non hanno tirato fuori tutta la risoluzione che la loro fotocamera può dargli. E’ un banale problema di pratica. Nico Di Palo si allenava per molte, molte ore al giorno. Se io avessi avuto una sua chitarra, non sarei stato un chitarrista migliore. Quando qualcuno mi chiede un consiglio sull’attrezzatura, cerco sempre di capire se usano al meglio quello che già hanno e se hanno incontrato dei limiti. Se si, allora un’attrezzatura diversa può aiutarli a migliorare ancora. Se no, un’attrezzatura nuova può avere un impatto devastante perché può far risaltare ancora di più gli errori (più megapixel, ad esempio, richiedono di scattare con un supporto stabile per tirarli fuori tutti), richiede l’apprendimento di un nuovo equipaggiamento, ci fa comportare in modo strano (costa tanto, non la uso quando piove, ergo, non fotografo).

Il corpo macchina è, di solito, l’ultima cosa da migliorare sicuramente per chi, come me, ha una 5D mark II e una 50D. Megapixel a sufficienza e ottima gamma dinamica per stampe eccellenti anche di dimensioni superiori al 50x70 cm.

L’ordine di upgrade dell’attrezzatura, secondo me, è il seguente:

1.   Migliorate il fotografo. La tecnica si vede nelle immagini. Fate tanta pratica e studiate molto.

2.   Migliorate il supporto e la tecnica di scatto. Se la fotocamera si muove per qualsivoglia ragione, non potete tirar fuori tutta la risoluzione che è in grado di fornirvi. Non basta possedere un treppiede, deve essere buono e dovete saperlo usare.

3.   Migliorate le ottiche. La differenza tra una buona ottica e una meno buona si vede a occhio nudo, non nascondiamocelo. E 20 o più megapixel accentuano le differenze.

4.   Migliorate la vostra preparazione sull’attrezzatura. Vi lamentate della resa dei colori della vostra fotocamera, del contrasto e della gamma dinamica. Ma conoscete veramente la gamma dinamica della vostra fotocamera? Non siete pronti per un miglioramento del corpo macchina finché non avete massimizzato i vostri sforzi per estrarre tutto da quello attuale.

5.   Migliorate il corpo macchina. Potete farlo solo se avete raggiunto tutti i limiti dei punti 1-4. Dovete avere ottiche allo stato dell’arte ed un ottimo treppiede, conoscere benissimo tutto della vostra fotocamera ed essere migliorati come fotografo.

Invece, guardandomi intorno, vedo che le persone fanno l’opposto o quasi. Per prima cosa comprano il corpo macchina appena uscito, il migliore per caratteristiche tecniche. Poi, non raggiungendo dei grossi miglioramenti (ovviamente), passano al punto 4 e cominciano a migliorare la loro preparazione della macchina. A questo punto iniziano a rendersi conto che quel 18-200 che gli piace tanto perché è comodo da portare e non ti fa cambiare ottica, è parte del loro problema. Allora passano al punto 3 e cominciano a migliorare le ottiche. Quando si accorgono che, anche con un obiettivo definito “una lama”, non riescono a raggiungere una sufficiente nitidezza, affrontano il punto 2 e si dotano di un buon treppiede. Ben pochi arrivano al punto 1, migliorare il fotografo.

Questo è il percorso del pigro (e danaroso). Andare da 5 a 1 significa che ci si aspetta che l’attrezzatura migliori i nostri risultati prima di migliorare la nostra conoscenza e la nostra tecnica. Ecco perché tutti vogliono fare i passi 5 (corpo macchina) e 3 (ottiche). Facciamo due conti: migliorare 5 e 3 può significare 5000€. Se li investissimo in 1, 2 e 4 non saremmo in grado di fare foto migliori? Sicuramente sì.

Certo i produttori di fotocamere ed obiettivi hanno tutto l’interesse a che voi percorriate i passi 3 e 5 visto che senza non potrebbero aumentare i loro ricavi. Però, nella mia esperienza, un’attrezzatura migliore non fa fare foto migliori immediatamente. A volte, addirittura, fa prendere cattive abitudini. Più megapixel possono significare per qualcuno che si può anche non essere al posto giusto o con l’ottica giusta, tanto poi si ritaglia in Photoshop. Questo significa ignorare la prospettiva (che dipende dal punto di ripresa) e le relazioni (tipo quella vicino/lontano) nell’immagine.

Perciò non vi lamentate che ancora non è uscita la D700x o qualche altro modello. Guardate, invece, cos’è che vi impedisce veramente di migliorare. Scommetto che non è il corpo macchina. Lo so, pensare al corpo macchina significa essere meno critici con se stessi ma se guardate ai migliori in ogni campo scoprirete che hanno dovuto essere molto critici con se stessi per trovarsi dove sono.


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©2015 Aristide Torrelli