Aristide Torrelli, fotografo fine art
Il mondo attraverso i miei obiettivi: luce, tecnica e visione

Ancora sui keepers



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Ancora sui keepers
Ogni volta che torno da un lungo viaggio, specie uno di quelli nel mio amato sud-ovest degli Stati uniti, i miei dischi rigidi traboccano di migliaia di immagini, solitamente oltre diecimila per circa 30 giorni di permanenza, anche se più qualcuna è una foto ricordo, non un tentativo di foto fine art!.
Stavo esaminando le foto scattate in una settimana a San Francisco e ho notato che erano circa 1800. Da buon ingegnere ho iniziato subito a fare calcoli, cosa da non fare perché spesso arte e numeri non vanno d’accordo! Ho trovato che in sette giorni, cioè 604.800 secondi ho scattato 1800 fotografie. Ovvio, nei 604.800 secondi c’è anche il tempo in cui dormivo o mangiavo o… tralasciamo!
Per il mio ragionamento però va bene così. Se avessi scattato ogni foto a 1/30 di secondo, avrei utilizzato 1800 x 1/30 = 60 secondi. Sessanta secondi!!! Cioè 60 / 604.800 = 1/10.000 circa. Ho utilizzato solo un decimillesimo del mio tempo per fare foto. Davvero? E quante foto ho tenuto reputandole buone? Circa 120, cioè 4 secondi di tempo, cioè 4 / 604.800 = 1/151.200 cioè veramente nulla. Un rapporto tra tempo lavorato e prodotto ottenuto veramente basso.

Tanto a poco (uno)
Questo però è ciò che mi serve per realizzare fotografie che amo e di cui sono orgoglioso. In termini di "keeper rate”, come dicono quelli bravi, il tasso di foto che conservo e non scarto, nel caso di San Francisco era 1:15. Considerate che fino a qualche anno fa il mio keeper rate era di una su 72. Leggetevi: Una su 72
Premere il pulsante è facile. Una volta, sul Grand View Point Overlook di Canyonland, avvicinandomi all’ora perfetta per lo scatto, ho iniziato a premere il pulsante di scatto ogni tre o quattro secondi. Mi sono ritrovato con decine di immagini tutte uguali o poco diverse tra loro, solo le ultime vicine a quel che avevo pensato e sperato di catturare. Il paesaggio non era minimamente variato e io continuavo a scattare!


Canyonlands



Ma non è stato premere il pulsante di scatto che ha prodotto le quattro immagini che ho scelto. E’ stata la pazienza insieme alla creatività, la considerazione della luce e della composizione, aspettare il momento ed essere disposti a riconoscere quando tutti i pezzi non erano al loro posto, le buone scelte nell’editing e la mia visione in post-produzione.
Per questo rabbrividisco quando sento parole come “punta e scatta” oppure “Fotografate, fotografate, fotografate”, parole che fanno di noi, i fotografi, nient'altro che scimmiette premi bottone. Non mi piacciono le scimmie premi bottone.
C'è stato a lungo un dibattito sul fatto che la fotografia sia arte o meno. Ci sono stati a lungo dibattiti su cosa significhi anche la parola "arte".
Se ti ci dedichi, se ti costa qualcosa di più della semplice pressione del pulsante, per me sei sulla buona strada. L'arte è dura perché è difficile riversarsi senza riserve in qualsiasi cosa. E la fotografia, nonostante il nostro desiderio di scorciatoie che possa renderla più facile (nuova attrezzatura?), è difficile.
Anche non premere il pulsante, è facile. Troppo facile, in realtà.
Ma tutte le altre cose? La creatività, la composizione, l'attesa, il messaggio che vuoi comunicare con la foto che stati per scattare, qualcosa di più di “Guarda Canyonlands, che bello e io ci sono stato!"? Questa è dura. Ciò non significa che non sia privo di gioia e significato, solo che non è semplice, non è facile.
In effetti, se siamo tutti vicini al mio rapporto di un secondo su centocinquantamila (e potrebbe essere che non lo siamo perché potrei essere io quello scarso e gli altri potrebbero avere numeri migliori) allora dovremmo godere di ciò che non è l'effettiva pressione dei pulsanti, perché è la stragrande maggioranza dello sforzo che facciamo. Dovrebbe essere qualcosa che ci dà grande gioia, anche quando 1680 delle nostre 1800 immagini non sono altro che schizzi, tentativi. Forse soprattutto allora. Ricordiamo che se anche solo una piccola frazione dei nostri sforzi produce frutti di cui siamo orgogliosi, allora anche il resto di quel tempo conta. Deve. La vita non può riguardare solo i pochissimi momenti che funzionano come speravamo. Abbiamo bisogno dell'altro tempo per esplorare, rischiare, giocare e trovare gioia e meraviglia.

Ogni secondo conta.
E questo mi porta a un punto più pratico: smettiamo di rimproverarci per i 1680 scatti, quelli che non ce la fanno. Sono il processo produttivo. Sono schizzi. Sono necessari. La maggior parte di noi trascorrerà il proprio tempo a creare un numero sorprendente di immagini davvero poco raccomandabili che speriamo nessuno vedrà mai. Dobbiamo farlo. Quello che non dobbiamo fare è passare il tempo cercando di ridurre quel numero. Strano eh? In effetti, dovremmo fare di più.
Più errori (dai quali impariamo).
Più rischi (in cui troviamo sorprese nascoste).
E ancora schizzi esplorativi (in cui troviamo il nostro miglior lavoro).
Nessuno vede i tanti sforzi che facciamo, non vedono i nostri fallimenti o i nostri passi falsi. E se lo fanno, quello che vedono è una persona che rifiuta di lasciarsi scoraggiare dalle probabilità o dallo sforzo, e che continua a buttarsi nella fotografia, spinto da ciò che potrebbe trovarvi. Ma non si tratta di ciò che vedono gli altri. Riguarda il modo in cui vediamo noi stessi, i nostri sforzi e i nostri cosiddetti fallimenti. Dimentichiamo il keeper rate, raccontano una storia incompleta.
L'arte non si trova nei rapporti numerici ma nella volontà di andare più in profondità, rischiare di più e trovare il nocciolo del nostro discorso. Si trova nella volontà del cuore e della mente di ignorare i numeri e andare avanti finché non trova ciò che sta cercando e allora grida di gioia: "Evvai!"


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